Questa è una mia sintesi dei lavori di gruppo del Laboratorio “Lemadeleines” di Lecco. L’esposizione non è un articolo, ma confida in modo discorsivo su parte del materiale del blog e delle e-mail che tutti dovremmo avere, un po’ reinfilate ultimamente da Mario. L’esposizione, non completamente sistematica, si ripete in alcuni punti, però attraverso riferimenti teorici diversi.

La possibilità di sottoporre agli amici e colleghi del gruppo così esperti e profondamente interessati alla conoscenza le mie modeste osservazioni, mi aiuta a riordinare le idee e a cercare di fare un altrettanto modesto punto sulla situazione dei lavori del gruppo, a partire dalla mia angolazione di psicologo e psicoterapeuta (Analisi Transazionale e Gestalt + approccio Psicofisiologico clinico). Le osservazioni non saranno certo esaustive, ma vi ringrazio per la pazienza e il tempo che vorrete eventualmente dedicare a commenti e critiche, sperando che possano assumere un senso per il prosieguo del gruppo.

Non so se, come dice Mario, potremo elaborare un modello strutturale/funzionale che comprenda da una parte un passo avanti che abbiamo fatto nelle discussioni e dall’altra una certa uniformità di idee e prassi terapeutiche che sono anche piuttosto diverse tra noi. Ciò è ricchezza, ma certo anche complessità nello stabilire indirizzi e direzioni. Comunque cominciamo a farlo. La profondità e le competenze dei vari interventi nel gruppo e online, sono come un olio extravergine ottimo, ma la macchia si allarga e dovremmo proprio trovarle un contenitore/modello valido, per quanto certamente ancora flessibile. Mi vanno più che bene i 3 punti proposti da Marcello, che ce lo fanno trovare volto verso di noi psicologi (vedi più avanti), ma ovviamente ancorato alle basi della neurofisiologia: 1: rapporto individuo-mondo e individuo-corpo, 2: rapporti tra persone, 3 rapporti con la soggettività. Anche le indicazioni concettuali di Daniele sono un riferimento importante di questa sintesi: “coerenza o meno delle componenti soggettive e razionali dell’agire umano”.

Partiamo dalla domanda posta da Luca: “Cambiare postura vuol dire cambiare carattere?”. Come sempre ci dovremmo imbattere in un problema di definizioni: cos’è il carattere? .. Ma, come abbiamo convenuto a Settembre, cerchiamo di superare i problemi di definizione troppo specifici (siamo multidisciplinari) concentrandoci invece su un’intesa intuitiva ma tra noi penso sufficiente per ora. Propongo di usare in questo caso il termine “Personalità“, che in psicologia significa: un insieme di caratteristiche stabili espresse dall’individuo. La psicoterapia può cambiare comportamenti e anche tratti e componenti della personalità espressa. Sottolineo “espressa” per evidenziare la componente motoria (output cinetico in Marcello), ma comunque intrinsecamente legata alle elaborazioni intermedie, di cui si è già tanto detto (ridondanze, collaterali sensoriali, aspetti s-o di Giampaolo e nascita della coscienza, anelli neuro-meccanici, torri, ecc..).

Abbiamo già parlato, anche con Emilia, di come l’emozione (etimo: ex-movere -muovere da.. essere mossi da..) sia costituita da 3 componenti: 1 Condizione stimolo (interno o esterno), 2 Pattern motorio-espressivi (comunicazione) 3 Sensazione subiettiva (valutazione su un asse piacere-dispiacere)*. Ecco il campo di lavoro su 3 punti che propone Marcello. Ma ecco anche come i paletti che ci suggerisce Daniele, possano essere un riferimento in linea con gli studi di neurofisiologia (verso gli aspetti razionali) e di psicofisiologia (verso gli aspetti soggettivi); dove troviamo la “coerenza” tra il funzionamento del substrato nervoso con le sue leggi da una parte, e gli elementi, sempre prodotti dal sistema nervoso, che via via portano all’adattamento nell’ambiente dell’animale/individuo dall’altra. Anche l’animale si muove secondo l’asse piacere-dispiacere, ma con minori gradi di libertà sia nella parte meccanico-cinetica (comportamenti istintivi) sia nella parte elaborativa con meno anelli e probabilmente meno “coscienza”; mentre l’uomo mostra maggiori gradi di libertà nel comportamento (che chiamiamo motivato o pulsionale, ma non esclude reazioni riflesse e istintive), che hanno la loro base in un maggior numero di anelli alti, da cui “può emergere la coscienza”. Ecco, coscienza, anche qui preferirei usare il meno difficile termine “consapevolezza” cioè “sensazione che qualcosa sta accadendo”, e abbiamo visto che questa consapevolezza nasce dal numero dei neuroni interessati e dall’aumento di complessità dei collegamenti; il modello di Giampaolo è suggestivo di questo. Ma non solo: nel modello s-o ad un certo punto si attivano circuiti che non solo fanno emergere la coscienza/consapevolezza, ma ovviamente anche comportamenti adattivi. E allora ecco che il funzionamento di questi circuiti, che sono adattivi e frutto dell’adattamento sono -razionali- e hanno un corrispettivo -coerente- in un continuum nel vissuto -soggettivo- quando se ne è consapevoli (rif. a Daniele). E lo troviamo ben descritto da Emilia (pag. 40) citando Damasio coi suoi “Background feelings” concepiti in un rapporto speculare alle “Background emotions” (dal micro/neuro interno alla comunicazione interno/esterna).

Troviamo quindi l’individuo che si muove in risposta a stimoli, interni o esterni, di cui può essere consapevole a diversi livelli: da quelli più vitali e reattivi (risposta immediata-consapevolezza più tardiva), a quelli più complessi che utilizzano nella risposta componenti di “intelligence”, in riferimento alle citazioni di Dehane di Marcello: consapevolezza più ampia, “consapevolezza di sè” attraverso le risposte elaborative e motorie che creano la nostra sensazione di esistere e che concorrono a migliorare le risposte future. Ma in questi circuiti ci troviamo anche tutto quello che Mario ben ci ha presentato citando Gazzaniga e Eagleman (Prediction in the Brain), in cui si rileva la coscienza con la sua “lentezza” utile ad adattamenti più organizzati, come epifenomeno di un mondo ben più ampio automatico/inconscio (ecco cos’è l’inconscio finalmente!) volto all’ottimizzazione delle risposte elaborative e/o comportamentali che siano; un meccanismo adattivo volto al futuro e non un pozzo del passato. Nuova idea neuroscientifica dell’inconscio, certamente più utile a una psicoterapia moderna.

Dire cognitivo-comportamentale penso che non sia un reato.. Poi la psicoterapia sarà fatta di tecniche diverse, che “entrano” da anelli bassi diversi, dai linguistico/uditivi ai postural-corporei, ma il modello che stiamo costruendo mi sembra in grado di andare verso la possibilità di elaborare veramente un sistema “semplesso” (Berthoz) di misurazione, che porti ad una soddisfazione etico-professionale, che consista sempre di più nel conoscere in modo più profondo quello che stiamo facendo in terapia. Le varie teorie della personalità hanno elaborato sulle loro basi modelli di psicoterapia che possiamo considerare materiale parzialmente elaborato, da utilizzare per il nostro modello, considerando che in tutti gli orientamenti in psicoterapia c’è tantissima ricerca che forse non è solo clinica e legata a metodi soggettivi, che per me vanno benissimo, ma anche a metodi cosiddetti scientifici. Ma ancora echeggiano qui i modelli più grezzi della neurofisiologia russa (vedi il Sistema funzionale di P. K. Anokin), che però vanno nella giusta direzione nel descrivere un processo ad anelli utile dai i neuroni fino ai gruppi sociali. Parlo del concetto di “accettore del risultato d’azione”, che è parte del tessuto che ha prodotto il comportamento e che “aspetta di essere spento” attraverso meccanismi di inibizione a feed-back; così come funziona anche il sistema neuroendocrino ben conosciuto. Questo modello è più grezzo ma più vicino alla realtà della psicoterapia quando ci domandiamo cosa cambia nel cervello quando cambia la persona.. Caro Luca la tua domanda è come un dardo che fa 100 punti (ma forse lo sapevi già..). La persona si rappresenta in una postura, un atteggiamento (neuro-muscolare) che diventa gestualità (psicologica), come dice Vezio.

Per tornare alle psicoterapie, e ovviamente parlo di quello che conosco, in tedesco “Gestalt” vuol dire “forma” e la Terapia della Gestalt ha nel suo fondamento la “chiusura delle gestalt”, perseguire cioè la “buona forma”: nevrosi varie, sintomi, ansia, fobie, ecc.. sono delle “gestalt aperte”, che vengono chiuse nel lavoro terapeutico. Non ? questa la sede per parlare di tecniche (presto dovremo confrontarci su modelli e tecniche), ma penso che questa teoria rispecchi molto quanto detto fin qui: possiamo pensare alla membrana cellulare, ai nuclei eccitati, fino ai comportamenti inadeguati a soddisfare gli accettori del risultato d’azione ai vari livelli dell’individuo e del suo sistema nervoso; anelli rimangono in funzione spostando energia nel sistema o dissipandola in collaterali più o meno utili.. quante suggestioni tra neurologia e meccanismi di difesa.. che siano psicoanalitici o gestaltici o altro. [Non bisogna confondere la psicoterapia della Gestalt fondata da Fritz Perls, con la teoria della Gestalt di Wetheimer, Koler e Koffka degli anni ’30 del secolo scorso. Tuttavia ne è un parziale derivato e che a noi può interessare proprio per i fenomeni percettivi che hanno studiato: tipo “effetto Phi”, ma anche le leggi di configurazione figurale (funzionamento del cervello).]

Faccio ora un piccolo salto. Un passo di Marcello in risposta ad Enrico mi sembra qui citabile per le implicazioni coi concetti di “chi vuole”, cioè, è l’organizzazione di base del cervello che determina cosa voglio?.. o altro?.. allora “Io” chi sono?.. Qui c’è anche l’importante concetto di “inibizione” che non abbiamo mai ben approfondito nè sul versante neuro nè su quello psico. Marcello scrisse: “Con l’evoluzione di organismi di struttura più alta (maggior numero di anelli) l’autonomia rispetto all’ambiente aumenta e così aumenta la “liberta” relativa di modificare il comportamento, non tanto nei moventi (motivi/drives), quanto nell’inibire l’azione (il veto di Benjamin). I moventi sono quelli a cui si riferisce Schopehnauer che non sono voluti ma che rappresentano la volontà stessa. Questa appunto non viene scelta e si riassume con il suo detto, illuminatissimo a mio avviso, che possiamo fare o non fare cioè che vogliamo ma non possiamo volere o meno cio che vogliamo.” Questa è per me la posizione dell'”Io”, nell’accezione suggerita dal modello psicofisiologico di Vezio, che decide chi è, cosa fare e non fare, ma è il risultato più alto dell‘essere corpo. E’ per questo che in psicoterapia possiamo cominciare a lavorare attraverso le metafore/funzionamenti dell’Io (linguaggio-pensiero) o direttamente attraverso il corpo (posture, atteggiamenti, espressività). Bene discutere sul volere o no, o chi vuole, ma alla fine ciò che è importante è l’armonizzazione delle risposte all’interno e all’esterno del corpo (adattamento).

Se conveniamo sull’anello neuro-meccanico alla base del nostro funzionamento ecco che, tornando alla domanda di Luca, dal mio punto di vista vedo fortemente come la psicofisiologia e la psicofisiologia clinica possano essere d’aiuto a tradurre in modo un po’ più pratico, come ci incoraggia a fare Mario rispetto alla psicoterapia, i grossi temi di neuroscienze che stiamo affrontando. A mio parere e conoscenza, nessuno ha ancora elaborato concetti così comprensibili, semplici e utilizzabili a tutti i livelli come quelli di Piaget. Il comportamento animale e quello umano è volto sostanzialmente alla conservazione e alla riproduzione dell’individuo/organismo (anche se coi grandi emisferi siamo andati oltre e ci siamo forse un po’ persi..). Scusate il tentativo forse un po’ grossolano, ma ribadisco e credo che parlando di coerenze interne all’agire umano, al suo comportamento, che a tutti i livelli del sistema nervoso dell’organismo e del suo sviluppo dall’embrione al pensiero, si possono utilizzare i concetti piagettiani di accomodamento e assimilazione. Nel loro “equilibrio” (ancora da discutere con Marcello.. concetto di errore/Luca, ecc..-) formano quello che, come dice anche Vezio Ruggieri, possiamo chiamare l'”Io” (ma cambiategli pure nome se volete.., tutti insieme siamo andati ben oltre queste definizioni, pur necessarie); l’Io come un continuo processo di analisi/sintesi che a loro volta costituiscono basi per successive analisi/sintesi (Fbi); l’Io, un balance che sorge nell’adattamento ed è struttura e processo di sviluppo; l’integratore delle integrazioni, quello che risponde al nostro nome e in un modo più ampio alla nostra storia e ad una consapevolezza di essa: noi non impariamo come abbiamo fatto a togliere il dito dalla stufa, ma abbiamo imparato che le stufe scottano.

Quindi in psicoterapia lavoriamo sul cambiamento attraverso l’analisi delle storie buone o cattive o sull’analisi di quello che fa il nostro corpo per adattarsi all’ambiente? Lavorando con le parole o coi movimenti/atteggiamenti del corpo? Tutte e due, almeno in potenza e con qualche differenza secondo i modelli. Così sopra così sotto.. Anche Top-down e Bottom-up possono apparire un pochino astrusi (scusate l’esagerazione), se consideriamo la semplicità con cui si possono spiegare in termini piagettiani le priorità nel sistema nervoso in base ai momenti in cui uno stimolo deve essere elaborato dapprima parzialmente (accomodamento) per una risposta immediata, e poi con una sintesi successiva inglobare l’elaborazione appena fatta insieme ai nuovi stimoli in arrivo (assimilazione) e così via.. Ma si può pensare anche ad una generale modalità del sistema nervoso che persegue un equilibrio oscillatorio tra tra i due momenti/sistemi di assimilazione e accomodamento. (Fisica?, entropia?, termodinamica?, .. mi sono già azzardato abbastanza..).

In attesa del pensiero di Marcello, quando dicevo nella breve nota precedente che il “volutamente” (Luca-cambiare postura e carattere..) può essere spiegato secondo me magari riferendosi proprio al concetto di cambiamento in psicoterapia, vediamo che l’individuo, che in qualche modo non risponde o non ritiene di rispondere bene alle cose della vita, può aver bisogno di un amico, un prete, un qualcosa/qualcuno (psicoterapeuta) che si inserisce nel suo ciclo interno-esterno-interno per contribuire alla creazione di un nuovo settore di “intelligence” (Dehane). Una specie di Io ausiliario di supporto all?anello proiettatto all’esterno, utile a migliorare le sue percezioni-risposte-vita, attraverso l’inserimento di anelli neuro-meccanici meglio organizzati, dapprima giocati nella relazione, ma infine introiettati, anzi incorporati in senso psicofisiologico del termine e quindi stabili; per quanto possiamo definire stabile la nostra attività mentale. Proprio Piaget afferma che l’attività dell”organismo è tanto più stabile quanto più è statica (processi omeostatici), mentre l’attività mentale è tanto più stabile quanto più è mobile.

Il tema della libertà già un po’ discusso a partire dai bei riferimenti a Shopenhauer proposti da Marcello, ci porta a dire: “Ma chi è che vuole?” (Chi comanda? Dice Gazzaniga). “Volutamente” cambiare postura può comportare il fatto di non essere totalmente consapevoli della propria postura, oppure di non trovare in noi la capacità di cambiarla come vogliamo o di mantenerla. Vuol dire che in noi non è stata elaborata una risposta valida di adattamento all’ambiente. La postura non sono solo gambe, braccia e schiena, ma anche organi fonatori, gestione dello sguardo, ecc.. tantissima letteratura fisiologica, psicofisiologica, ma anche antropologia e certamente paleoantropologia, come ci accennava lo scorso anno Daniele. Allora, per tornare al cambiamento di postura e di altro “più alto” a volte può esserci bisogno di un “anello esterno”, l’altro significativo (terapeuta) che si inserisce negli anelli neuro-meccanici fino agli alti livelli fornendo materiali potenzialmente modificanti sia i livelli più complessi dell’organizzazione corticale (percezione di sè, controllo del comportamento e degli impulsi, ecc..) sia nel contempo i livelli dell’organizzazione motoria (modo di porsi, espressività, fluidità dei gesti, teatroterapia, danzaterapia ecc..). Laddove i livelli corticali e quelli motori sono quindi uno la metafora dell’altro, in psicoterapia è indifferente se entriamo, dal basso ovviamente, col linguaggio e le associazioni, oppure, sempre dal basso con le varie modalità di terapie corporee. Quindi cambiando la postura si cambia qualcosa d?altro (se vuoi Luca è il carattere, ma tra le parole usate male in psicologia questa è una delle peggiori, non me ne voglia nessuno..).

Come già illustrato nella presentazione del modello di Vezio (vedi sito) e da Vezio stesso, il tema della postura si inserisce in modo fondamentale nel discorso che va dalla sensazione-riconoscimento di sè più o meno consapevole, all’espressione meccanica di sè rappresentata in modo anch’esso più o meno completo-valido-adeguato-ecc.. dal lavoro neuromuscolare. Anche il top-down e botton-up, senza voler dissacrare l?ampia letteratura, può essere funzionalmente ridotto (o ampliato?), almeno in terapia, alla circolarità in cui Io, Matteo, Luca o Giovanni, ecc.. mi percepisco nella mia continuità esistenziale. Che è data dall”integrità dei confini del mio corpo (pelle e postura atta ad organizzarmi verso l’esterno -Luca lo sa bene nelle arti marziali-) e nella fluidità del suo funzionamento nella coerenza (suggerimenti di Daniele) del rappresentare lo stesso “Io/processo” nonostante il numero diverso delle unità nervose interessate sia in alto (miliardi di connessioni che tendono al soggettivo) sia in basso (milioni di unità sensoriali o effettrici che tendono alla relazione). Quindi sempre per stare nella triplice proposta di Marcello e continuando a rispondere a Luca non posso che riprendere quanto già detto, aggiungendo in merito ai suoi quesiti, che forse stiamo parlando di una sovrapposizione evolutiva più che funzionale. I grandi emisferi sono spazialmente sovrapposti e sono nati per far fronte ad un ambiente che lo stesso animale ha creato spostandosi in altri territori e a cui deve adattarsi: nell’adattamento c’è una modificazione interdipendente tra l’organismo che modifica l’ambiente e l’ambiente che modifica l’organismo, compresa l’evoluzione del cervello attuale. Ma ancora più semplicemente i modesti relais (neuroni) di cui avevano bisogno gli animali primordiali che galleggiavano nel mare, sono aumentati di numero con l?evoluzione filogenetica (organismo-ambiente-organismo), per poi migrare in una zona più protetta (scatola cranica) per la maggior parte di loro, fino a noi, ma sempre e solo al servizio dell’organismo! Per chi altri?! La nostra complessità ci ha fatto scordare questo, e viviamo di molte illusioni che creiamo noi stessi, come il computer Hall in 2001 ecc.. di Kubrik; ma l’organismo ci fa ricordare di lui con quelle che noi chiamiamo malattie e sintomi, forse vestigia comunicative necessarie negli animali che ci hanno preceduti, che avevano senso per loro, ma che al nostro livello evolutivo sono in genere dannose, soprattutto se non le comprendiamo.

* Enciclopedia Treccani: emozione Processo interiore suscitato da un evento-stimolo rilevante per gli interessi dell’individuo. La presenza di un’e. si accompagna a esperienze soggettive (sentimenti), cambiamenti fisiologici (risposte periferiche regolate dal sistema nervoso autonomo, reazioni ormonali ed elettrocorticali), comportamenti “espressivi” (postura e movimenti del corpo, emissioni vocali).;

I colleghi del gruppo di studio citati per nome sono: Mario Pigazzini, psicoanalista di Lecco; Marcello Costa, neurofisiologo di Adelaide (Au); Daniele Amati, Fisico del Sissa di Trieste; Luca Foggetta, fisico del Cnr; Vezio Ruggieri, professore di psicofisiologia clinica di Roma; Emilia Barile, filosofa di Lecco; Giampaolo Sasso, psicoanalista di Milano; Enrico Biffi, medico omeopata e posturologo di Brescia. Altri colleghi non citati qui sono Psicoterapeuti e Medici di Lecco e Milano.