Una volta si chiamavano handicappati, li chiamano ancora così ma un po’ meno. Una volta non si vedevano nemmeno perchè le famiglie li proteggevano da sguardi sfuggenti e curiosi nello stesso tempo; le famiglie nascondevano il loro dolore e il loro impegno grave di fronte a malattie in alcuni casi totalmente invalidanti, che toglievano ogni autonomia ai figli colpiti e negavano ogni idea di un futuro indipendente. La famiglia diventava quasi come schiava e celava il suo peso dentro di sè. Anche adesso è un po’ così, ma molto meno. Lo sviluppo sociale, la ricerca nella riabilitazione medica, psicologica e pedagogica insieme alla creazione di servizi adatti, hanno portato non solo la possibilià da parte della persona con disabilità di raggiungere in certi casi livelli di autonomia impensabili prima, ma ha fatto uscire dalla condizione di ghetto anche le famiglie. Queste continuano le loro enormi fatiche per le cure, le riabilitazioni, gli spostamenti e gli interventi vari, ma in una dimensione sociale di più ampio respiro, soprattutto per lo sviluppo del dialogo e del confronto tra genitori con figli disabili.
Chi è la persona con disabilità? Lavoro da 25 anni con queste persone e ho imparato ad amarle, non è retorica: queste persone hanno una nome e invecchiano da 20 anni insieme a me, ci si affeziona e si scoprono tante cose al di là degli aspetti professionali del prendersi cura di loro; attenzione, non ho detto curare ma prendersi cura che è un concetto più ampio e con contenuti affettivi. Quindi chi è una persona con disabilità? Sono uomini e donne (la mia esperienza è in prevalenza con disabili gravi adulti) con cui si può scoprire il senso della vita! Parole grosse? No, la persona con grave disabilità esprime dei bisogni “così semplici ed evidenti” che, nelle condizioni appropriate e in centri specializzati con personale adeguato, sono facilissimi da soddisfare! Una persona che non cammina deve essere accompagnata o spinta nella sua carrozzina, una persona che non può mangiare da sola deve essere imboccata, a una persona che non sa risolvere problemi per deficit mentale non si devono porre problemi, ma raggiungere i suoi residui funzionali con una pedagogia speciale, una persona che non è in grado di socializzare deve essere portata fuori o deve essere portata gente vicino a lei, ecc.. L’obiettivo in tutti questi interventi, è semplicemente il benessere della persona, e lo si vede con la gioia e con i sorrisi. Nella gestione di un servizio per gravi disabili si incontrano spesso problemi di varia natura, ma ho imparato nel tempo a vedere che se loro sorridono e sono felici, in un modo o nell?altro il problema sarà risolto.
Ma quello a cui mi voglio riferire riguarda proprio la semplicità e l’evidenza dei bisogni delle persone con disabilità: la loro vicinanza e la presenza dei loro bisogni diventa piano piano per tutti noi una “linea di base”, un punto di riferimento da cui partire per valutare i nostri bisogni e desideri ed il senso vero che hanno nella nostra vita. Questo sia sul piano consapevole che su quello inconscio: cioè qualcuno maturando nei sentimenti se ne rende conto, ma altri ne beneficiano comunque anche senza accorgersene. Lavoro da sempre, insieme agli operatori professionali, con la collaborazione dei volontari ed in tanti anni ho potuto osservare direttamente alcune persone affette da una normale varietà di malattie, depressioni, lutti, ecc.. Rinascere nel rapporto coi disabili. La semplicità dei loro bisogni “le curava”.. Curioso eh!.. Allora sono i disabili a prendersi cura dei volontari?.. Un po’ è così?. Con questo non voglio dire che i volontari siano tutti ammalati, mi riferisco per? a diversi casi che ho potuto osservare in modo diretto, oltre che all?esperienza personale.
Un’altra cosa a cui tengo molto è la definizione di “persona con disabilità“. Si sente, purtroppo da un po’, l’espressione “diversamente abili”. La dicitura corretta è: “persona con disabilità”. Si esprimono così per esempio: l’O.M.S.(Organizzazione Mondiale della Sanità), il Governo italiano nella finanziaria, la Presidenza della Repubblica, ecc. L’espressione “diversamente abili” è nata nel mondo dei paraplegici normodotati mentalmente e una sua estensione è impropria e usata spesso in modo “peloso”. Un conto è immaginare un paraplegico normodotato mentalmente che gioca a pallacanestro in carrozzina (cose belle e appassionanti), oppure pensare al pilota Alessandro Zanardi, che senza gambe partecipa a campionati di velocità, ma dire diversamente abile di un disabile grave o gravissimo è assurdo, per lui e per la sua famiglia. Invece si sentono molti, anche personalità del mondo politico, ecclesiastico o dell?informazione, dire “diversamente abili”: sono persone poco informate; è bene che non lo facciano. Noi viviamo vicino a persone con disabilità.. non con i diversamente..! Parliamo di “persone” perchè sono persone; “con disabilità” perchè non sono in grado di fare certe cose senza aiuto. Quindi : “Persone con disabilit?” o “Disabili” nell’uso tecnico più frequente.